IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI A scioglimento della riserva formulata nel corso dell'interrogatorio di Pellegriti Giuseppe; O S S E R V A In data 12 marzo 1991 il p.m. ha richiesto a questo giudice la applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti dell'indagato sopraindicato, siccome autore del delitto di calunnia nei confronti dei magistrati Armando Licciardello e Rodolfo Materia, allo stato entrambi in servizio presso questo distretto di corte di appello, per episodi riguardanti il maxiprocesso da costoro istruito nella loro qualita' di giudici istruttori. L'indagato in sostanza ha affermato, nel corso dell'interrogatorio reso dinnanzi alla seconda sezione di questa corte di assise all'udienza del 15 febbraio 1991, di avere rilasciato certe dichiarazioni e sottoscritto i relativi verbali nella fase della istruzione formale di quel processo, perche' costrettovi da tali magistrati, i quali in tal modo gli avrebbero fatto affermare il falso onde obbedire a una certa "ricostruzione prefabbricata" di tutti i fatti di cui al procedimento stesso. In data 16 marzo 1991 veniva emessa l'ordinanza relativa alla applicazione della misura richiesta, e indi veniva fissato il giorno 20 marzo corrente per l'assunzione dell'interrogatorio. in via preliminare all'assunzione dell'interrogatorio stesso, e' stata sollevata dai difensori dell'indagato, avvocati Ernesto Pino ed Alfio Finocchiaro, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, terzo comma, del c.p.p., gicche' la relativa norma sarebbe in palese contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Conseguentemente hanno chiesto la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. In ordine a tale questione il p.m. ha osservato che essa e' manifestamente infondata, e ha percio' chiesto il rigetto della relativa domanda dei difensori. La questione non appare affatto manifestamente infondata, anzi sembra piuttosto rilevante, e pertanto la domanda della difesa merita accoglimento. Rileva in proposito questo decidente che in effetti appare quanto mai singolare la norma in virtu' della quale la competenza a giudicare in un procedimento riguardante un magistrato, allorquando questi sia offeso o danneggiato da un reato commesso in udienza, sia sottratta al giudice naturale, che e' precostituito per legge, e che si identifica in quello che ha sede nel capoluogo del distretto piu' vicino, uruglamente competente per materia. Ed invero, se la ratio generale delle disposizioni che precedono, sancite nei primi due commi dall'art. 11 del c.p.p. e' quella apprezzabilissima e rispondente al principio costituzionale della imparzialita' del giudice e della sua soggezione soltanto alla legge ex art. 101 e 104 della Costituzione, non si vede perche' tale principio debba essere per cosi' dire "sacrificato" allorquando invece si tratti di reato commesso in udienza nei confronti di un magistrato. E' evidente in tal caso che non possa assolutamente garantirsi la necessaria serenita', e soprattutto imparzialita' del giudice che venga ad occuparsi del processo, o quanto meno non si puo' affatto assicurare che egli appaia sereno e imparziale, specie allorquando ad essere danneggiati siano colleghi dello stesso ufficio, come nel caso in esame il dott. Materia, anch'egli g.i.p. Ne' appare verosimile che la norma in contestazione voglia rispondere ad esigenze di speditezza del giudizio, onde ripristinare l'ordine giuridico violato, e di esemplarita' della sanzione, perche' per il primo fine e' da notare come, contrariamente alla disposizione del codice abrogato, ex art. 435, l'art. 476 del c.p.p. vigente non consente la sospensione del processo e la definizione del giudizio per il reato commesso in udienza. Per il secondo va rilevato come esso denoterebbe comunque l'assenza di serenita' e imparzialita' di cui si e' detto sopra. Alle suindicate esigenze comunque si puo' ugualmente provvedere mediante le disposizioni dello stesso codice di rito, peraltro indi- cate negli art. 27 e 476 del c.p.p. Il legislatore ordinario sostanzialmente ha introdotto una norma che viola oltre al surrichiamato principio costituzionale, l'altro altrettanto rilevante costituito dalla uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge, ex art. 3 della Costituzione, giacche' a identiche situazioni di fatto, reati commessi in danno di magistrati corrispondono discipline attributive di competenza differenti, con la cessazione delle garanzie previste per l'imputato per i reati in generale, allorquando invece, questi vengano commessi in udienza. Appare poi abbastanza evidente come il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale di che trattasi. Pertanto va disposta la sospensione del giudizio in corso e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;